Nell’estate del 2020, insieme al Centro Tematico Regionale Educazione alla sostenibilità di Arpae Emilia-Romagna, avevamo messo a punto il documento che si può leggere qui sotto, nella speranza che la pandemia non fosse soltanto un momento di sospensione e di crisi del mondo della scuola ma anche un’occasione di riflessione e rinascita, che potesse dare forza a un modo diverso di interpretare la quotidianità scolastica, in primo luogo nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie. Nella direzione che auspicavamo, in seguito, qualcosa è in effetti accaduto e sta accadendo ma ancora troppo poco per considerarla un’inversione di tendenza e, anzi, i segnali che arrivano sono spesso di chiusure, timori, nuovi ostacoli a un modello di scuola che scelga di mettersi in relazione in modo permanente con l’esterno, il territorio circostante, il mondo naturale. Al di là del periodo di emergenza in cui è stato scritto e che stiamo ancora vivendo, dunque, è un documento che pensiamo conservi una sua validità e per questo lo lasciamo. In fondo è una proposta per ogni nuovo anno scolastico, anche per quello 2021-22 e per quelli che verranno.
Una proposta per il nuovo anno scolastico
Alla fine del maggio scorso il Centro Tematico Regionale Educazione alla sostenibilità di Arpae Emilia-Romagna e la Fondazione Villa Ghigi, pensando al prossimo anno scolastico, hanno messo a punto il documento riportato più sotto, che è stato già condiviso da molti altri CEAS – Centri di Educazione alla sostenibilità della nostra regione e sta circolando tra amministratori locali, dirigenti, funzionari, pedagogisti, studiosi e altri addetti ai lavori, educatori, insegnanti, genitori. Vi invitiamo a leggerlo e ad aiutarci a fare in modo che un numero sempre più alto di persone potenzialmente interessate lo legga. Per far sì che il prossimo anno scolastico sia un anno non soltanto di comprensibili difficoltà per le nostre scuole ma di reale, duraturo e positivo cambiamento.
A settembre, dopo la fine di un anno scolastico diverso da tutti quelli che lo avevano preceduto e un’estate che si sta inventando in questi giorni, tra centri estivi da ripensare, aperture straordinarie di nidi e scuole dell’infanzia e magari altro, comincerà un nuovo anno scolastico, con modalità non ancora del tutto chiare. Ma già sappiamo che non sarà un anno scolastico come tutti gli altri. La parentesi coronavirus, ormai ne siamo certi, non si chiuderà il prossimo settembre e quando finalmente si chiuderà, forse alcune cose saranno cambiate per sempre. Magari non nella scuola, ma nel mondo intorno alla scuola probabilmente sì; e ci auguriamo per il meglio. Nell’ultimo mese, mentre siamo ancora in bilico tra un nemico invisibile che ha causato tanti morti e tanto dolore anche da noi e il desiderio di lasciarci alle spalle i momenti più neri, si sono moltiplicate le dichiarazioni, le ipotesi, le proposte, le polemiche su come potrebbe o dovrebbe essere il nuovo anno scolastico. Su come si tornerà a fare scuola. Non importa ricordare le tante cose dette, discusse, apprezzate, contestate, smentite.
Una cosa però ha colpito tutti noi, che da sempre lavoriamo per una scuola più aperta e più all’aperto: che per la prima volta da molti anni, non soltanto tra gli addetti ai lavori e negli ambiti più specializzati, si è sentito ripetutamente fare riferimento, per ragioni prima di tutto sanitarie, a un modello di scuola che si svolgesse in parte in aula, in parte a distanza e in parte, finalmente, anche all’aperto, negli spazi verdi scolastici e altrove. È impossibile non ricordare, a questo proposito, che alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento la gran parte delle esperienze di scuole all’aperto, per quanto avessero all’origine un’ambiziosa e audace idea di rinnovamento dei metodi e dei contenuti della scuola tradizionale, nacque proprio per ragioni principalmente sanitarie; che allora si chiamavano povertà, denutrizione, ambienti di vita malsani, con tutto il carico di malattie e fragilità che queste condizioni comportavano per molti dei bambini di allora. Far stare i bambini all’aperto, al sole, era visto, insieme a qualche pasto più regolare, come un modo per farli crescere più sani, ma anche di renderli più coinvolti e vogliosi di apprendere, facendogli recuperare dignità e fiducia nel futuro.
Nessun paragone forzato con la situazione che viviamo oggi, naturalmente, anche se rileggere il passato qualche spunto interessante di riflessione lo regala sempre, ma una coincidenza perché non vederla? Non abbiamo sentito dire decine di volte, in questi mesi, che la pandemia sarà per molti aspetti un disastro ma che può essere anche un’opportunità? Anche per cambiare il nostro stile di vita, la nostra scala di valori, la nostra economia, il nostro rapporto con il pianeta? Per accelerare quanto va fatto per contrastare il cambiamento climatico, invertire la tendenza, diventare più virtuosi? Perché non scegliere la scuola come uno dei terreni privilegiati di questo cambiamento? E non soltanto con progetti coraggiosi ma sperimentali, belli ma poco incisivi se si guarda ai grandi numeri. Ma con un traguardo più ambizioso e ravvicinato.
Tutte le scuole, dai nidi fino alle primarie (o, meglio, alle secondarie di primo grado) non potrebbero essere invitate, a livello nazionale, regionale e comunale, e anche concretamente consigliate e aiutate a passare più tempo all’aperto, a muoversi verso una didattica nella natura, a scoprire con meno timidezza e vincoli il loro paese, la loro città, il territorio in cui si trovano?
Lo si può fare da subito, da settembre. C’è un po’ di tempo per prepararsi, discuterne con gli insegnanti, studiare come affiancarli in corso d’opera, all’interno di percorsi di formazione appositamente finalizzati, che li facciano sentire parte di un gruppo di lavoro che cresce assieme, si confronta e condivide esperienze. E inoltre, capire se possono servire alcuni arredi, attrezzi e strumenti specifici, se si può approntare rapidamente una piccola raccolta di libri utili; se occorre fare qualche intervento nei giardini scolastici e se può servire qualche indicazione mirata su quanto offre il mondo al di fuori dell’ambito scolastico, magari anche a due passi dal cancello della scuola o un poco più distante; immaginare agevolazioni per favorire gli spostamenti, le escursioni, gli itinerari all’interno e nei dintorni dei centri abitati piccoli e grandi oppure negli ambiti naturali che si trovano abbastanza a portata di mano.
Non scriviamo questo soltanto perché siamo convinti, da sempre, che il miglior punto di partenza di molti percorsi di conoscenza, soprattutto per i più piccoli, è il mondo naturale, l’osservazione delle piante e degli animali di uno spazio verde anche limitato, ma perché sappiamo che spesso, seguendo il filo della natura e della spiccata curiosità dei bambini, si possono incontrare una dopo l’altra tutte le discipline. Si può imparare a contare, misurare, scrivere, parlare in modo appropriato, gustare la musicalità delle parole e il linguaggio della musica, scoprire concretamente la storia, cominciare a orientarsi tra le epoche, costruirsi un poco alla volta un’idea dinamica della realtà che muta davanti ai nostri occhi, apprezzare le interpretazioni artistiche, in poche parole conoscere, capire, ragionare, prendere parte alla vita.
Le esperienze all’aperto che passano attraverso l’osservazione, la scoperta e la conoscenza della natura sono una pratica importante, oltre che un approccio molto fecondo all’insegnamento, e preparano a osservare anche tutto il resto (ciò che non è natura) con occhi diversi, insegnano a farsi domande, a formulare ipotesi ragionate, impongono di interrogarsi sulla realtà in cui si vive e sulla sua complessità. In una parola i bambini acquisiscono, in modo naturale e contestualizzato ai propri bisogni, quelle competenze trasversali ormai indispensabili per affrontare il mondo di oggi, in tutte le dimensioni della nostra vita (e della sostenibilità – vedi l’Agenda 2030).
Ci sono infinite possibilità legate alla scelta dei luoghi di apprendimento. In tanti, del resto, cominciano a essere consapevoli di quanto l’apertura della scuola al territorio possa essere un’opportunità preziosa per incentivare la conoscenza primaria, frutto dell’esperienza e capace di un forte coinvolgimento a livello personale, come pure di come il rapporto con l’ambiente, soprattutto nei più piccoli, offra una pluralità di stimoli all’osservazione sensoriale e consenta di costruire, anche a livello neurologico, una conoscenza con fondamenta più solide, in grado di accogliere, organizzare e selezionare in maniera più efficace la moltitudine di informazioni che ci vengono trasmesse. La natura è, in effetti, un potente mediatore di conoscenza e relazioni: fa dialogare discipline diverse, coinvolge anche chi fatica a essere inserito in contesti regolamentati e strutturati, permette di riscoprire legami autentici con il territorio in cui si vive. Un giardino, un parco, un piccolo spazio verde sono luoghi sicuri e accoglienti nei quali tutti sono benvenuti; piante e animali hanno una loro vita autonoma ma sanno rispondere, spesso in modo sorprendente, alle attenzioni che vengono loro date. E in natura, cosa ancora più importante, quasi mai si vedono subito gli effetti delle azioni che si compiono; per cogliere i cambiamenti occorre osservare, confrontare, riflettere, saper attendere, pazientare. Fino a che tutto diventa a poco a poco più chiaro.
Basterebbe decidere, ora, che da settembre chi avrà voglia di passare più tempo fuori dalle aule potrà farlo, sarà incoraggiato a farlo, tutti saranno d’accordo che farà bene a farlo; e che nel tempo ci saranno misure, persone e risorse destinate a questo obiettivo. E che non si tratta di un obiettivo transitorio ma permanente. Che la scuola cambierà in meglio e che il cambiamento è cominciato.
Non serve neppure sottolineare come i CEAS (Centri di educazione alla sostenibilità), nella nostra regione almeno, potrebbero assecondare queste nuove abitudini, in termini di formazione, suggerimenti operativi, accompagnamento in nuove esperienze educative e attività didattiche. Educare significa tirare fuori, mentre la scuola si è rinchiusa dentro! Non significa solo tirare fuori dal bambino, ma significa offrire al bambino un mondo di possibilità. Per quanto i CEAS abbiamo vocazioni anche piuttosto diverse tra loro, tutti abbiamo qualcosa da dare in questo impegno e anche molto da imparare per costruire insieme a insegnanti, bambini e ragazzi un modello di scuola più vicino ai bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza, più idoneo per questi tempi, più appagante per tutti. Un modello che, con qualche punto fermo, sarà bello scoprire cammin facendo.
Chi lavora nei CEAS è abituato a intervenire in funzione dei bisogni delle comunità dei diversi territori in cui opera, a ripensare e riadattare le esperienze declinandole su interessi e curiosità; questa competenza, il più delle volte accompagnata da una grande esperienza e professionalità, è quanto mai necessaria per supportare insegnanti, educatori, collaboratori scolastici e famiglie alla ripresa del nuovo anno scolastico, promuovendo un utilizzo adeguato che sappia cogliere e riutilizzare in ambito didattico le tante opportunità offerte dall’ambiente naturale e dal territorio, con il corollario di istituzioni, strutture, associazioni e altri soggetti che ne animano la vitalità culturale. Pensiamo a scuole e a città aperte, che sappiano moltiplicare i luoghi degli apprendimenti, ispirare nuove soluzioni e modalità nelle pratiche scolastiche quotidiane, dal nido d’infanzia alle scuole secondarie, offrire contesti complessi, ricchi di stimoli differenti per le diverse età. Ma pensiamo anche a educatori e insegnanti capaci di vivere ambienti e spazi diversi in modo innovativo, che sappiano appassionare e motivare gli alunni, incrementare le competenze e coinvolgere le famiglie e i cittadini. In un mondo che cambia rapidamente la scuola dovrà educare a lavorare in gruppo, sviluppare la capacità di prendere decisioni in condizioni di incertezza, affrontare l’imprevisto, non lasciare indietro nessuno, recuperare le radici nella modernità, avviare e diffondere buone pratiche, contribuire a preparare un buon futuro per tutti.